GLI ALPINI
Dalle origini ad oggi: la fulgida epopea del dovere e del sacrificio.
Le Truppe Alpine hanno avuto origine nel 1872, quando il giovane
Regno d’Italia dovette affrontare il problema della difesa dei nuovi confini
terrestri, che dopo l’infelice guerra del 1866 contro l’Austria, coincidevano
quasi interamente con l’arco alpino.
Da poco, infatti, si era compiuta l’unità d’Italia con Roma
capitale ed il nuovo stato si trovava a dover affrontare una situazione
internazionale molto delicata per il riaccendersi di tensioni con la Francia e
con la potente monarchia Asburgica, ancora
potenzialmente ostile dopo la cessione del Veneto all’Italia.
La mobilitazione dell’Esercito e la difesa del territorio
nazionale erano state, fino allora, previste nella pianura padana in
corrispondenza del vecchio Quadrilatero perché le Alpi, nella concezione
strategica del tempo, non erano ritenute idonee a operazioni di guerra. La
prima linea difensiva vera e propria era, a quel tempo, imperniata sulle
posizioni di Stradella – Piacenza – Cremona in
corrispondenza del fiume Po.
L’idea di affidare la difesa avanzata della frontiera alpina ai
valligiani del posto anziché ricorrere a truppe di pianura, che oggi appare
semplice e logica, a quei tempi era assolutamente originale, quasi
rivoluzionaria.
Gli esperti militari del tempo erano convinti che una reale difesa
sulle Alpi non fosse possibile e che un eventuale invasore dovesse essere
fermato e ricacciato solo nella pianura padana.
L’ideatore del Corpo degli Alpini fu l’allora capitano di Stato
Maggiore Giuseppe Domenico Perrucchetti, nato a
Cassano d’Adda, in provincia di Milano il 13 luglio 1839 (a vent’
anni fuggì dalla Lombardia, allora sotto la dominazione austriaca, per
arruolarsi volontario nell’esercito Piemontese).
Studioso di storia, conosceva molto bene il nostro confine per
avere, negli anni precedenti, effettuato numerose ricognizioni sui passi dello Spluga, dello Stelvio, sulle Alpi Carniche e Retiche, il Perrucchetti conosceva le gesta delle milizie montanare
che, fin dai tempi dell’Imperatore Augusto (I,II, e III Legio Alpina Julia), si erano formate sulle Alpi e le avevano difese
dalle invasioni barbariche.
Conosceva il perfetto organismo delle milizie paesane create da
Emanuele Filiberto, l’organizzazione ed i compiti dei “Landesschützen”
tirolesi, truppe scelte preposte alla difesa dei confini montani del Tirolo, quelle dei “Cacciatori delle Alpi” delle campagne
del nostro Risorgimento e le famose imprese dei Volontari Cadorini
di Pier Fortunato Calvi che, nel 1848 per difendere la loro terra
dall’invasione austriaca, si trasformarono in audaci e tenaci combattenti.
Prendendo lo spunto da quegli studi ed esperienze, nel 1871 il geniale
Ufficiale, appassionato di montagna studioso di operazioni militari in
zone alpine, redasse una originale memoria nella quale sosteneva e dimostrava
il concetto che la difesa di primo tempo (copertura) del confine alpino dovesse
essere affidata a presidi di soldati nati in montagna, pratici dei luoghi sin
dalla prima giovinezza e sicuramente ben motivati nel caso avessero dovuto
effettivamente difendere i propri cari e i propri beni.
Un altro elemento fondamentale su cui il Perrucchetti
fondava il suo studio erano i vantaggi, ai fini della celerità e della
semplicità di mobilitazione, che il reclutamento regionale presentava, nonché i
legami personali tra gli appartenenti ai reparti e le comunità da difendere.
Lo studio del Perrucchetti pubblicato,
nel maggio 1872, sulla Rivista Militare Italiana, fu apprezzato e subito
condiviso dal generale Cesare Ricotti Magnani, Ministro della Guerra nel
governo di Quintino Sella, che capì l’importanza della difesa dei valichi
alpini e la necessità di disporre, nell’ambito della fanteria, di una
nuova specialità, particolarmente addestrata per la guerra in montagna.
Ricordo che il gen. Ricotti Magnani, fondatore a Torino nel 1864
del CAI con
Quintino Sella, fu l’uomo che in pochi anni, trasformò radicalmente
l’organismo militare italiano attuando una profonda ristrutturazione
dell’Esercito. Per avere una Nazione a livello europeo egli introdusse, con
opportuni correttivi, il sistema prussiano con la ferma breve (tale veniva
considerata allora quella di tre anni) e il reclutamento nazionale e non
regionale come attuato in Prussia. Per gli alpini era
previsto il reclutamento regionale.
Il ministro, per evitare l’ostacolo della Camera dei Deputati, che
non vedeva di buon occhio nuovi oneri finanziari, ricorse ad un
espediente: inserì negli allegati del Regio Decreto n°1056 del 15 ottobre 1872
che prevedeva un aumento dei Distretti Militari, la costituzione di 15 nuove
compagnie distrettuali permanenti, con il nome di “Compagnie Alpine” (per un
totale di 2000 uomini), da dislocare in alcune valli della frontiera
occidentale e orientale.
A ciascuna delle neo nate compagnie venne assegnato un mulo con
una carretta per il trasporto dei viveri e dei materiali.
Come arma individuale agli alpini venne dato in dotazione il
fucile Wetterli modello 1870 (dal nome
dell’inventore, un meccanico svizzero).
Così nacquero gli “Alpini”, mascherati da generici distrettuali,
fra le pieghe di un Decreto Reale firmato a Napoli da Vittorio Emanuele II, ma con già sulle spalle un fardello di compiti e
responsabilità pesanti quanto il loro zaino di allora e di sempre.
La divisa era quella della fanteria sino al marzo del 1873.
Il privilegio di costituire i primi reparti alpini toccò alla
classe del 1852, ovviamente denominata “classe di ferro”.
A queste truppe speciali, nel 1874, fu posto sul capo un cappello
di feltro nero a bombetta, con una stella di metallo a cinque punte e coccarda
tricolore, ornato con una penna nera sul lato sinistro, il quale divenne subito
l’emblema araldico dei soldati della montagna.
Nel giro di qualche anno le 15 compagnie diventarono 36, su
organico di guerra, ed i battaglioni dieci, che presero il nome di valli,
monti e città, per un totale di 9.090 alpini.
Nel 1882, a dieci anni dalla nascita del Corpo, per esigenze
operative si ebbe un più consistente ampliamento del Corpo, con la costituzione
dei primi sei reggimenti alpini: il 1°, il 2°, il 3°, il 4°, il 5°e il 6°.
Il cappello alpino subì altre modifiche: il fregio a stella fu
sostituito con un fregio di metallo bianco raffigurante un’aquila ad ali
spiegate sormontata da una corona reale: appoggiata su una cornetta sovrapposta
a due fucili incrociati e contornata da una scure e una piccozza, con rami di
quercia e di alloro, essa rappresentava il simbolo di potenza e audacia del
Corpo degli Alpini; sul tondino del fregio venne applicato il numero del
reggimento e sul cappello della truppa le nappine
mutavano di colore a seconda dei battaglioni e cioè bianco (1° battaglione),
rosso (2° battaglione), verde (3° battaglione), turchino (4° battaglione). Per
identificare gli ufficiali superiori si stabilì di guarnire il cappello con una
penna bianca.
Nel 1883 alle truppe di montagna vennero date le “Fiamme Verdi” a
due punte e si incominciò a distinguere fra la fanteria alpina e l’artiglieria
da montagna. Anche il cappotto con lunghe falde, molto ingombrante, venne
sostituito con una mantellina alla bersagliera di colore turchino scuro mentre
le scarpe basse furono sostituite da stivaletti alti con legacci simili a
quelli usati dai montanari.
I reparti alpini, in considerazione del valore strategico
dell’arco alpino, furono potenziati mediante una serie di provvedimenti di
carattere ordinativo:
-
nel 1877 venivano costituite le prime 5 batterie da montagna, con pezzi ad
avancarica, destinate ad appoggiare con il fuoco le imprese degli alpini;
-
nel 1887 i reggimenti diventarono 7, i battaglioni 22 e le compagnie 75; il
fucile “Wetterli 1870” venne trasformato in
un’arma a ripetizione ordinaria con un caricatore a cinque colpi; il nuovo
modello prese il nome di “Fucile modello 70/87 “Wetterli
– Vitali” dal nome del capitano di artiglieria che modificò il vecchio
modello;
-
sempre nel 1887 nacque in Torino il 1° Reggimento di artiglieria da montagna su
9 batterie; l’armamento di base era costituito dal pezzo da 75 millimetri di
calibro (con anima rigata e con affusto rigido);
-
nel 1888 i muli furono aumentati da uno a otto per compagnia;
-
nel 1891 il fucile “Wetterli – Vitali” venne
sostituito dal fucile modello ’91 a sei colpi, che rimarrà in dotazione agli
alpini fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Nati per combattere sui ghiacciai e sulle alte vette delle Alpi,
gli alpini per uno dei tanti e curiosi scherzi della storia, ebbero il
“battesimo del fuoco” sulle roventi ambe africane,
nelle campagne di Eritrea del 1887 e del 1896, ove mostrarono il loro valore e
le loro qualità di fieri soldati nella sfortunata battaglia di Adua del
1° marzo 1896, sull’Amba Rajo,
e dove il 1° Battaglione Alpini d’Africa, comandato dal tenente colonnello
Davide Menini, si immolò sul posto assieme a molti
artiglieri. Dei suoi 954 alpini ne sopravvissero solo 92.
In quella tragica giornata, oltre al comandante di battaglione,
caddero alla testa dei reparti il capitano Pietro Cella, del 6° Reggimento
Alpini, prima medaglia d’oro al valore militare degli alpini e quattro valorosi
ufficiali di artiglieria da montagna anch’essi decorati con la medaglia d’oro
al valore militare i quali caddero eroicamente assieme ai loro artiglieri
sparando sino all’ultimo colpo.
Molteplici furono le innovazioni e i mutamenti adottati
all’equipaggiamento e alle armi agli inizi del ventesimo secolo.
Da non dimenticare il novembre del 1902, data importante per la
Specialità; dopo un periodo di intense prove effettuate presso il 3° Reggimento
Alpini, venne dato in dotazione ai reparti il nuovo e veloce mezzo di
locomozione su neve: gli ski, che permisero di
risolvere il problema del movimento dei reparti sui terreni innevati.
Vale la pena di ricordare gli esperimenti effettuati dal
Battaglione Alpini Morbegno del 5° Reggimento Alpini,
nel luglio del 1905, per l’adozione di una uniforme di colore grigio per
mimetizzare maggiormente i combattenti che portavano uniformi luccicanti e
multicolori.
La nuova uniforme fu esperimentata a Bergamo, sede del Battaglione
Alpini Morbegno, da un plotone della 45a
compagnia, denominato il “Plotone grigio”, al comando del tenente Tullio Marchetti, trentino, che da tenente colonnello sarà poi il
capo ufficio informazioni della Prima Armata e, dopo il felice esito delle
prove effettuate con il resto del battaglione, nel 1908 la nuova uniforme fu
adottata da tutto l’Esercito Italiano.
Con l’adozione della nuova uniforme la vecchia “bombetta” nera
veniva sostituita con un cappello di feltro colore grigio verde che a tutt’oggi è ancora in dotazione alle Truppe Alpine.
Nell’ottobre 1911 gli alpini parteciparono alla guerra Italo -
Turca con dieci battaglioni e 13 batterie di artiglieria da montagna. Al
comando dell’8° Reggimento Alpini Speciale (perché costituito con i Battaglioni
Alpini Tolmezzo, Gemona, Feltre e Vestone) c’era
l’indimenticabile Colonnello Antonio Cantore, che cadrà da eroe sulle Tofane nel luglio del 1915, colpito in fronte da una
pallottola.
Secondo una leggenda alpina tutti quelli che muoiono con il
cappello alpino in testa salgono nel “Paradiso di Cantore” vicino
all’eroico generale, comandante l’Armata delle “Penne Mozze”. Oggi
continua, anche per noi, ad accogliere veci e bocia.
Nelle tradizioni degli Alpini non esistono comportamenti o
sentimenti sleali: il nemico si combatte ma non si disprezza.
Pochi anni dopo l’Italia entra in guerra contro l’Austria –
Ungheria.
Alla Prima Guerra Mondiale gli Alpini, i “figli dei monti” come li
chiamava Cesare Battisti, parteciparono con 88 battaglioni e 66 gruppi di
artiglieria da montagna per un totale di 240.000 alpini mobilitati.
Quarantuno mesi di lotta durissima e sanguinosa costituirono per
gli Alpini un’epopea di episodi collettivi ed individuali di altissimo
valore e di indomita resistenza, di battaglie di uomini contro uomini, di
uomini contro le forze della natura, di azioni cruente e ardimentose sulle alte
vette dalle enormi pareti verticali, di miracoli di adattamento alle condizioni
più avverse e nelle zone alpinisticamente
impossibili.
Alla metà di giugno del 1915 gli Alpini effettuarono la prima
leggendaria impresa, la conquista del Monte Nero, davanti alla quale anche i
nostri avversari così si espressero: “Giù il cappello davanti gli alpini
! questo è stato un colpo da maestro”.
Dal Monte Adamello al Monte Nero, dalle Tofane
al Carso, dalla Marmolada al Monte Ortigara, dallo Stelvio al Monte Grappa, dal Monte Pasubio al Passo della Sentinella, aggrappati alla roccia
con le mani e con le unghie per lottare contro uno dei più potenti eserciti del
mondo, costruirono con mezzi rudimentali strade e sentieri fino sulle cengie più ardite, combatterono memorabili battaglie di
mine e contromine, portarono a termine brillanti
colpi di mano espugnando posizioni ritenute imprendibili e aggiunsero
alle fantastiche leggende delle Dolomiti storie di giganti della lotta in
montagna.
Il contributo dato dagli Alpini nella Grande Guerra è
ampiamente evidenziato dalle seguenti cifre: ufficiali, sottufficiali e alpini
morti 24.876, feriti 76.670, dispersi 18.305.
Un famoso scrittore inglese, Rudyard Kipling, che perse l’unico figlio sul fronte francese, a Ypres, venuto in visita alla fronte italiana nel corso
della Prima Guerra Mondiale, espresse questo giudizio sugli alpini: “Alpini,
forse la più fiera, la più tenace fra le Specialità impegnate su ogni fronte di
guerra. Combattono con pena e fatica fra le grandi Dolomiti, fra rocce e
boschi, di giorno un mondo splendente di sole e di neve, la notte un gelo di
stelle. Nelle loro solitarie posizioni, all’avanguardia di disperate battaglie
contro un nemico che sta sopra di loro, più ricco di artiglieria, le loro
imprese sono frutto soltanto di coraggio e di gesti individuali. Grandi
bevitori, svelti di lingua e di mano, orgogliosi di sé e del loro Corpo, vivono
rozzamente e muoiono eroicamente”.
E dopo la Prima Guerra Mondiale gli alpini, nel gennaio del 1936,
inquadrati nella Divisione Pusteria, vengono inviati
in Etiopia a combattere sugli assolati e aspri rilievi etiopici contro le
truppe di Hailé Selassié.
Sono circa 14.000 uomini inquadrati nella Divisione Pusteria.
Validissimo il contributo degli alpini che parteciparono alle operazioni più
importanti: dalla conquista dell’Amba Aradam, all’occupazione dell’Amba
Alagi e alla battaglia di Mai Ceu
il 31 marzo 1936.
Durante la Seconda Guerra Mondiale gli Alpini conquistano altre
glorie. Sono presenti su cinque fronti di guerra assai diversi per
caratteristiche morfologiche e strategiche: sulle Alpi Occidentali (dal 10 al
25 giugno 1940), in Grecia (dal 28 ottobre 1940 al 23 aprile 1942), in
Jugoslavia (dal luglio 1941 al settembre 1943), in Russia (dal gennaio 1942 al
marzo 1943) e, infine, dal settembre 1943 durante la Guerra di Liberazione
d’Italia per riconquistare la libertà e l’indipendenza nazionale.
Una storia, quella degli Alpini, fatta con il sangue lungo un
itinerario costellato di croci. In Russia, gli Alpini, in una marcia eroica
(oltre 700 Km. a piedi), ecatombe di alpini, sotto il flagello del freddo e
contro un nemico molto forte e determinato, affrontarono durissimi sacrifici e
sofferenze che la nostra mente oggi non riesce nemmeno a immaginare.
Eroico fu il comportamento degli Alpini, che a Nikolajewka,
riuscirono a rompere il cerchio di ferro e di fuoco dei soldati dell’Armata
Rossa.
Inferiori di numero, di equipaggiamento e di armamento, gli
Alpini, grazie all’ineguagliabile spirito di Corpo, all’attaccamento alla loro
terra, ai loro affetti, alla generosità che anima tutti i figli della montagna,
seppero soffrire con dignità e onore, compiendo infiniti gesti di umanità e di
fratellanza verso tanti fratelli stremati dal gelo, dalle ferite, dalle
fatiche, dalla fame e dal nemico implacabile.
Durissimo fu il prezzo pagato dalle Penne Nere per aprire ai
superstiti la via della libertà: su 57.000 uomini ben 34.170 non tornarono a
casa.
Di essi, Don Carlo Gnocchi – l’indimenticabile cappellano militare
degli alpini in Russia - apostolo della fede ed eroico sacerdote delle penne
nere e che presto sarà beatificato dal Papa, al termine di quella terribile
battaglia, disse: “Tutti hanno compiuto opera veramente sovrumana. Dio fu con
loro, ma gli uomini furono degni di Dio”.
Oggi, nel luogo dove sessantaquattro anni fa si svolgeva una
guerra sanguinosa e terribile, sorge un bellissimo asilo che ospita 150 bambini
russi.
L’Associazione Nazionale Alpini, per ricordare il sacrificio di
migliaia di Alpini rimasti per sempre in terra di Russia, animata
da una forte tensione morale e dalla volontà di legare i ricordi del passato a
un solidale impegno rivolto alle generazioni di oggi, ha costruito a Rossosch (luogo in cui nel 1942 c’era la sede del Comando
del Corpo d’Armata Alpino) un meraviglioso asilo, in segno di solidarietà e di
fratellanza fra i popoli. Là dove 64 anni fa risuonavano terribili grida di
guerra oggi si elevano gioiosi canti di pace.
L’asilo di Rossosch è un monumento
vivente alla pace e alla fratellanza fra i popoli. Chi ha sofferto nell’anima e
nella carne, come moltissimi alpini e soldati di ogni arma e servizio la
violenza spietata della guerra, conosce l’immenso valore della pace, della
solidarietà e della giustizia.
Anche durante questo immane conflitto europeo, iniziato
dall’Italia in uno stato di impreparazione militare che determinò una riduzione
delle capacità operative delle Grandi Unità, gli alpini si batterono con valore
e grande dignità.
La firma del trattato di pace e il successivo ingresso dell’Italia
nella NATO dette il via alla ricostituzione dell’ Esercito Italiano. Nell’arco
di otto anni, vennero ricostituite, cinque Brigate Alpine: Julia,
Tridentina, Cadore, Orobica e Taurinense, formate su
un reggimento alpini, un reggimento artiglieria da montagna e supporti tattici
e logistici.
Durante la lunga stagione della guerra fredda gli alpini erano in
prima linea, a difesa dei confini orientali, nel contesto del grande sforzo
alleato di contenimento del blocco sovietico che minacciava l’Europa
Occidentale.
Uomini fieri ed infaticabili, uomini ricchi di fede,
temprati dalla lotta con la natura, dotati di un luminoso patrimonio spirituale
ereditato dai propri padri, gli Alpini hanno portato sempre intatto nella
parentesi del servizio militare, queste preziose qualità civiche ed umane,
indispensabili per chi deve assicurare la difesa della Patria.
Non c’è pagina della storia militare italiana dall’ultimo
ventennio del secolo diciannovesimo ad oggi che non ha visto in prima fila gli
Alpini: ne fanno fede le 207 medaglie d’oro al Valore Militare, le 4 medaglie
d’oro al Valore Civile e una medaglia d’oro al Merito Civile della Croce Rossa
Italiana che fregiano il glorioso Labaro Nazionale dell’Associazione Nazionale
Alpini e che racchiude e sintetizza la prestigiosa storia del Corpo degli
Alpini.
L’Associazione Nazionale Alpini (A.N.A.), che prese vita a Milano
l’8 luglio 1919, ad opera di un gruppo di valorosi reduci alpini delle campagne
d’Africa e della Grande Guerra, non solo mantiene solidi rapporti di amicizia
con le altre Associazioni Combattentistiche d’Arma delle Forze Armate ma, dal
maggio 1985, ha esteso stretti rapporti di amicizia con associazioni
combattentistiche di altre nazioni.
Per iniziativa dell’Associazione Nazionale Alpini, il 24 maggio
1985, è nata la Federazione Internazionale Soldati di Montagna (I.F.M.S.) che riunisce all’insegna della fratellanza e
della comprensione in un unica cordata di ideali e di spirito tutti i Soldati
appartenenti alle associazioni di soldati di montagna di Austria, Germania,
Francia, Stati Uniti e Italia. Primo emerito presidente della
Federazione è stato un valoroso alpino italiano il Dr. Egidio Furlan di Trieste.
Se onnipresente e massiccia – con migliaia di caduti e feriti – fu
la presenza delle Truppe Alpine su tutti i fronti di guerra, non dobbiamo
dimenticare che gli alpini in armi ed in congedo dell’ Associazione Nazionale
Alpini sono stati e sono sempre presenti ovunque la solidarietà umana richiede
impegno, aiuto morale e materiale.
Senso di solidarietà che è innato nella gente di montagna, che
consiste nell’offrire la propria disponibilità verso gli altri senza interesse
e a profonderla con generosità specie verso i più bisognosi e i più deboli. Gli
esempi in tal senso sono innumerevoli e pressoché quotidiani.
L’Associazione Nazionale Alpini non è solo costituita da uomini
che amano radunarsi per sfilare con il cappello alpino in ricordo ed in onore
delle generazioni del passato; Essa è oggi più che mai un organismo vivo ed
operante nella realtà quotidiana del nostro Paese con il fine di insegnare ai
giovani l’amore verso il prossimo e l’amore verso la Patria.
Ricordo che la prima Adunata nazionale degli Alpini ebbe luogo il
giorno 6 settembre 1920 sul Monte Ortigara per
ricordare e onorare il sacrificio di migliaia di alpini immolatisi per la
Patria. In quella occasione venne trasportata faticosamente sulla cima una
colonna mozza con la scritta “Per non dimenticare” e il cappellano militare del
Battaglione Monte Stelvio, padre Giulio Bevilacqua,
che partecipò ai cruenti combattimenti su quella cima consacrata dal sangue di
moltissimi soldati, celebrò una S. Messa in suffragio di tutti i Caduti.
Fedele all’impegno di “Onorare i caduti aiutando i vivi”,
l’Associazione con i suoi 384.000 soci, ed i suoi Gruppi della Protezione
Civile che si estendono su tutto il territorio nazionale (oltre 13.000
volontari, organizzati in 72 squadre operative a livello provinciale)
interviene in massa volontariamente in soccorso delle popolazioni civili
colpite da calamità naturali e in occasione di emergenze pericolose, senza
limiti di tempo e di spazio. In caso di emergenza, nel giro di poche ore, sono
in grado di raggiungere le località più diverse e più lontane in Italia e
all’estero.
La svolta decisiva che coinvolse unitariamente tutta
l’Associazione avvenne all’indomani del tremendo terremoto che nel maggio 1976
sconvolse il Friuli.
Migliaia di soci furono chiamati, dal presidente Leonardo
Caprioli, a offrire un gesto di solidarietà e realizzarono un imponente
progetto di soccorso e di ricostruzione.
Mi è impossibile ricordare tutto questo grande patrimonio di
solidarietà e di generosità che si traduce ogni giorno in varie attività di
volontariato, di pronto intervento, di assistenza e di soccorso verso chi si
trova in difficoltà.
Nell’Associazione operano i Gruppi di “Donatori di sangue”, di
“Donatori di organi”, le Squadre di “Soccorso alpino”, le “Squadre ecologiche”,
le “Squadre specializzate al restauro” di chiesette e monumenti ai caduti, le
squadre preposte alla manutenzione delle strade di montagna, ai corsi d’acqua e
molte altre attività di pubblica utilità.
Fra le molte iniziative desidero citarne alcune che si possono a
buona ragione definire le più importanti :
-
la costruzione, nel 1977, del Centro di rieducazione di Endine
Gaiano nell’alto bergamasco
che può ospitare una quarantina di handicappati;
-
la costruzione della “Casa di pronta accoglienza” a Cinisello
Balsamo, edificata dalla Sezione A.N.A. di Milano e che consente di accogliere
e di assistere in modo idoneo chi chiede aiuto quando non ha un posto per
dormire e un tavolo per mangiare;
-
la costruzione della “Baita Don Onorio” di Trento, costruita dagli alpini
trentini per ospitare famiglie che si trovano in condizioni precarie;
-
la costruzione da parte delle Penne Nere bresciane
della “Scuola Nikolajewka” di mestieri per
spastici e miodistrofici, inaugurata a Brescia
nel gennaio 1984;
-
la costruzione del Centro di assistenza “Il Fienile” per bambini
handicappati costruito dagli alpini di Padova con fini ricreativi e di
accoglienza;
-
la costruzione del Centro polifunzionale per handicappati di Dalmine, capace di ricevere 120 persone bisognose di cure;
-
la costruzione delle Case “Natale 1” e “Natale 2” ad Aviano,
destinate all’accoglienza dei malati terminali provenienti da tutta
Italia e per dare alloggio ai parenti dei malati di tumore ricoverati
presso il centro oncologico di Aviano;
-
a Lalaua in Mozambico l’A.N.A.,
nel 2006, ha costruito un collegio per ragazze, un centro nutrizionale per
bambini e un centro di promozione per la donna;
-
l’ospedale da campo aviotrasportabile della Protezione Civile dell’Associazione
Nazionale Alpini, una struttura mobile composta da 20 shelter,
predisposta da tempo con eccellenti equipe di medici, paramedici e personale
tecnico, per un totale di 675 volontari e volontarie, completamente
autosufficiente e in grado di intervenire in qualsiasi condizione di tempo e di
luogo nel giro di poche ore.
Si tratta di una Unità sanitaria ormai da tempo consolidata
e riconosciuta dal Dipartimento della Protezione Civile. Nell’aprile del 1999,
in pieno conflitto balcanico, è stato inviato a Kukes e a Valona l’Ospedale da
Campo per dare assistenza ai profughi ed un Gruppo della Protezione Civile
dell’A.N.A. ad allestire campi per i kosovari
coinvolti dalla guerra in Kosovo e per dare loro
assistenza sanitaria.
Sono tante piccole luci che da molti anni si accendono per aiutare
il nostro prossimo che si trova in difficoltà o nel dolore.
Nel luglio del 2000, per vincere l’odio, l’Associazione Nazionale
Alpini ha ricostruito una scuola in Bosnia, a Zenica
(a 60 chilometri da Sarajevo), un complesso che ospita ottocento fra studenti
delle medie e scolari delle scuole elementari delle tre etnie. Si tratta di un
lavoro significativo e importante tendente a migliorare i rapporti
umani fra le varie etnie, progetto che punta sui giovani e che si propone di
sconfiggere l’odio e le ingiustizie fra gli uomini.
Non esiste differenza, sotto l’aspetto della disponibilità al sacrificio
e della solidarietà umana, fra gli Alpini in armi e gli Alpini in congedo,
fratelli da sempre impegnati in nobile slancio di altruismo ogni qualvolta la
posta è il salvataggio di vite umane o l’aiuto tangibile ed immediato a persone
che si trovano in stato di sofferenza.
Slancio più volte dimostrato nelle attività di soccorso in
occasione dei disastri o calamità naturali che sovente colpiscono il nostro
Paese o i territori esteri.
E non a caso la prima decorazione, in assoluto, al Valore ad un
reparto alpino venne concessa non per un atto di guerra ma bensì per un atto di
solidarietà umana nei confronti della popolazione civile. La meritò il
Battaglione Alpini “Val Stura” del 2° Reggimento Alpini che, la notte del 19
agosto 1883, accorse tempestivamente a spegnere un furioso incendio
sviluppatosi nell’abitato di Bersezio (Provincia di
Cuneo).
Dal primo intervento degli Alpini effettuato nel luglio 1873 dalla
14a Compagnia Alpina di Pieve di Cadore a favore della popolazione
di Alpago (Belluno), colpita dal terremoto, le “Penne
Nere” hanno sempre operato con grande tempestività, elevata efficienza
operativa con magistrale competenza negli interventi, riscuotendo
l’apprezzamento e l’ammirazione incondizionata della popolazione e delle
autorità civili e religiose.
Questa presenza nei momenti drammatici dell’emergenza, questa
vicinanza degli alpini alle popolazioni colpite da eventi calamitosi è un unico
filo conduttore che, da quel lontano 1873, ci porta fino ai giorni nostri.
Dal primo soccorso ad oggi migliaia sono stati gli interventi di
carattere umanitario a favore dei disastrati e dei più deboli.
Ricordo il terremoto in Calabria nel settembre del 1905, il
violentissimo terremoto di Messina del 1908, il disastro per il crollo della
diga del Gleno nel 1923, la catastrofe del Vajont nell’autunno del 1963 che distrusse interi
paesi, la devastante alluvione del novembre 1966 nell’Italia
settentrionale; e ancora il terremoto del Friuli nel 1976 (per l’impegno ed i
risultati raggiunti all’Associazione Nazionale Alpini viene conferita la
medaglia d’oro al merito civile) e dell’Irpinia nel
1980 e la frana di Stava nel 1985, l’alluvione della Valtellina nell’estate del
1987, il terribile terremoto in Armenia nel 1988, l’alluvione in Piemonte nel
novembre 1994, nel 1997 il terremoto in Umbria e Marche, nell’ottobre del
2000 la devastante alluvione in Piemonte, in Val d’Aosta che sconvolse intere
vallate e da ultimo in Molise colpito da un sisma che ha portato morte e
distruzioni.
Desidero ricordare il massiccio concorso fornito dagli alpini, dal
giugno 1961, alle Forze dell’Ordine per reprimere in Alto Adige gli atti
di terrorismo diretti contro la Repubblica Italiana e che provocarono la morte
di molti militari e la distruzione di numerose strutture (centrali elettriche,
tralicci dell’alta tensione, interruzioni di linee ferroviarie).
Oggi le truppe alpine, rinnovate nella struttura e nei ruoli da
svolgere, sono uno strumento non solo al servizio e per la difesa del nostro
paese ma anche “garanti” dell’ordine, della sicurezza e stabilità
internazionale.
L’era degli interventi umanitari e di mantenimento della pace (peace-keeping), oltre i confini nazionali si è aperta nei
primi anni novanta del secolo passato con l’intervento in Kurdistan, nel maggio
1991, (con l’operazione Airone), a protezione dei Curdi
minacciati dal governo di Bagdad, ma ha registrato un
rilevante e qualificante impegno in Mozambico nel 1993-94, devastato da 16 anni
di guerra civile (con l’operazione Albatros), dove
gli alpini hanno svolto brillantemente una difficile missione di pacificazione
a rischio della loro vita.
Dopo 57 anni, gli alpini delle Brigate Taurinense
e Julia e i paracadutisti della Compagnia alpini
paracadutisti Monte Cervino e da un reparto dell’aviazione leggera
dell’Esercito, per la quarta volta sono ritornati in Africa, in Mozambico,
questa volta non per fare la guerra ma per svolgere una missione di pace per
conto dell’ONU e, operando con grande professionalità e dedizione, hanno
contribuito a spegnere i focolai di conflittualità interni iniziati nel 1975 ed
a creare una situazione di normalità.
Da allora le Penne Nere hanno partecipato a numerose missioni
internazionali di pace fra le quali è doveroso ricordare le molteplici
operazioni in Albania nel 1991 (operazione “Pellicano”), l’operazione “Alba”
nel maggio 1997, l’operazione “Allied Harbour” (“Porto Alleato”) nell’aprile del 1999 e
l’Operazione Arcobaleno sempre in Albania per aiutare i profughi kosovari, l’intervento, nel 1995, in Bosnia – Erzegovina,
dominata da laceranti contrasti etnici - religiosi che affondano le radici
nella storia di quei paesi, nel febbraio 1997 con la missione “Constant Guard” e,
successivamente, nel 2000, con la missione “Joint
Forge” e sempre nell’anno 1999 con l’operazione “Joint
Guardian” nel Kosovo,
sempre in perfetta e fraterna collaborazione con altri reparti delle forze
armate italiane e alleate in aiuto dei profughi kosovari,
scacciati con violenza dalla loro terra.
Si tratta di un impegno ad alto rischio e sempre oneroso che gli
“alpini con le stellette” hanno affrontato con assoluta dignità di
comportamenti per assicurare in quelle regioni colpite da anni di contrasti
etnici e religiosi la convivenza pacifica, la ricostruzione e la pace.
A partire dal marzo 2002 il Comando Truppe Alpine ha assicurato
una consistente partecipazione delle proprie unità in Afghanistan alle
Operazioni ISAF (Forza di Sicurezza e Assistenza
Internazionale) e “Enduring Freedom”.
Dal 2004 al 2006 un reparto del 4° Reggimento Alpini paracadutisti ha
partecipato in Iraq all’Operazione “Antica Babilonia” (si trattava di un
plotone di alpini del Battaglione paracadutisti Monte Cervino) e dall’inizio
del 2007, il generale degli alpini Claudio Graziano, ha il comando
dell’operazione “Leonte” in Libano, la forza
multinazionale delle Nazioni Unite.
Un altro importante impegno operativo al quale hanno partecipato
gli alpini, assieme ad altri reparti dell’Esercito, è all’Operazione “DOMINO”
che interessava la vigilanza di punti sensibili sul territorio nazionale nel
quadro della lotta contro il terrorismo islamico.
Nel corso di tutte le operazioni, anche le più recenti e
rischiose, i soldati italiani dal comandante fino all’ultimo gregario, hanno
tenuto un comportamento fermo, corretto, imparziale, rispettoso delle
tradizioni dei popoli e favorevole al dialogo piuttosto che allo scontro. E
proprio questo tipo di agire è stata la chiave del successo di molte missioni
umanitarie.
I militari italiani, e in particolare gli alpini, durante le varie
missioni di pace e umanitarie nei teatri operativi hanno dimostrato di essere
prima uomini e poi soldati. Essere prima uomini, seppure con un’arma in mano,
significa condividere le sofferenze, alleviarle, offrire solidarietà,
restituire il rispetto non dimenticando il compito che deve essere comunque
portato a termine.
Significativa la partecipazione degli alpini, in concorso con le
Forze di Polizia, per la salvaguardia delle libere istituzioni, in Sicilia,
Sardegna, Calabria e Campania, contributi molto validi per dare più sicurezza a
quelle popolazioni fortemente condizionate dalla malavita organizzata. E a tal
proposito ricordo l’operazione “Vespri Siciliani” durata dal luglio 1992 al giugno
1998.
Per quanto i compiti istituzionali dell’esercito non sono quelli
di contrastare la criminalità, la sua presenza è stata molto sentita e
apprezzata dalla popolazione.
Prima di terminare questa mia sintetica esposizione desidero darvi
alcuni cenni sulla nuova configurazione delle Truppe Alpine.
Da qualche anno l’Esercito Italiano, al pari di quanto iniziato
presso altri paesi Alleati, ha dato l’avvio ad una fase di profonda
trasformazione concettuale e organizzativa tesa ad adattare l’apparato della
difesa alle nuove sfide via che si sono prospettate sullo scenario
internazionale.
Con il nuovo processo di radicale trasformazione si è passati, in
tempi abbastanza ristretti, da un esercito fondato sulla coscrizione
obbligatoria ad un esercito completamente professionale, in grado di
rispondere a molteplici situazioni operative incluso la lotta contro il
terrorismo Le caratteristiche fondamentali della riforma prevedono unità
costituite da personale maschile e femminile su base volontaria annuale,
quadriennale e permanente. Come si vede, un profondo cambiamento contemporaneo
a un notevole e duraturo impegno in operazioni all’estero.
L’esercito per il popolo deve assolvere il duplice ruolo di
provvedere alla difesa e sicurezza della collettività nazionale e di
contribuire alla creazione di un complesso di forze da destinare per la difesa
dell’Europa unita. In altre parole, oltre che per la difesa della Patria in
senso stretto, le Forze Armate saranno sempre più impegnate in operazioni di
supporto per la pace, per il mantenimento della legalità, della stabilità e
dell’ordine internazionale.
Il modello professionale realizzato per l’Esercito ha una forza
complessiva di 112.000 uomini.
E’ un esercito che punta sulla qualità più che sulla quantità.
Si tratta di una svolta importante verso un esercito super
addestrato per fronteggiare le nuove emergenze internazionali. Un esercito
moderno, iper tecnologico, aperto a uomini e donne,
con unità di élite in grado di partecipare a missioni di vario tipo nelle zone
calde del mondo. Una delle unità di élite è il 4° Reggimento Alpini
paracadutisti con sede a Bolzano.
E’ stata data quindi maggiore importanza alla qualificazione
professionale proprio perché il militare professionista è chiamato oggi a
confrontarsi con una realtà in continua evoluzione che richiede la perfetta
conoscenza del lavoro che deve svolgere in tutti i teatri operativi, ma deve
essere in grado anche di realizzare una perfetta integrazione con eserciti di
paesi amici e alleati e inoltre deve avere una conoscenza approfondita anche
dal punto di vista storico e sociale del paese dove sarà svolta la missione
(abitudini sociali, vari rischi esistenti, situazione sanitaria,
geografia, clima, principali sistemi d’arma ed equipaggiamento).
Alla luce di quanto sopra detto anche le Truppe Alpine come,
peraltro, gli altri corpi dell’esercito hanno dovuto adattarsi ai rapidi
mutamenti e adeguare la loro struttura allo scopo di poter operare in un
contesto interforze e multinazionale.
Ricordo che per le Truppe Alpine il processo di ristrutturazione
ebbe inizio già nel 1991 con lo scioglimento della Brigata alpina Orobica, nel
1997 con lo scioglimento della Brigata Alpina Cadore e nel dicembre 2002 della
Brigata Tridentina. Molte gloriose Bandiere di guerra, decorate di medaglie al
valore militare e civile, sono state ripiegate e custodite a Roma presso il
Vittoriano.
Così le Brigate Alpine da cinque, nel giro di pochi anni, sono
scese a due.
Anche i muli hanno pagato la modernizzazione dell’esercito.
Schiacciati sotto il peso del progresso tecnologico sono stati mandati in
pensione.
La difficoltà di reperire giovani capaci di governare i muli, il
sempre più sfavorevole rapporto costo-efficacia e soprattutto l’avvento dei
nuovi materiali e sistemi d’arma per sostenere le nuove sfide hanno determinato
la fine del mulo nei reparti alpini.
L’ultimo reparto di salmerie delle Truppe Alpine, costituito da 24
muli dislocati presso la Caserma “D’Angelo” di Belluno è stato disciolto il 7
settembre 1993, i quadrupedi vennero messi in vendita all’asta. Con loro si
chiude un’epoca. Gli alpini li ricorderanno sempre con affetto, orgoglio e
rimpianto.
Attualmente gli alpini in forza al Comando Truppe Alpine ammontano
a circa 9.500 uomini di cui 526 sono donne assegnate adeguatamente in tutti i
reparti.
Oggi il Comando Truppe Alpine dispone di forze capaci di
partecipare a tutte le missioni sia in Italia che all’estero con moduli
operativi adatti per portare a termine le missioni assegnate.
Oltre alle due Brigate, il Comando Truppe Alpine, erede del
glorioso 4° Corpo d’Armata Alpino, ha alle sue dipendenze varie unità di
supporto: il 4° Reggimento Alpini paracadutisti con sede a Bolzano, il 6°
Reggimento Alpini di sede a Brunico, il Centro
Addestramento Alpino di Aosta.
Ciascuna brigata alpina è costituita su: un Comando e Supporti
tattici; tre reggimenti alpini; un reggimento artiglieria da montagna; un
Reggimento genio guastatori e una Fanfara.
Come ho appena detto il Comando Truppe Alpine ha alle sue dirette
dipendenze il Centro Addestramento Alpino (già Scuola Militare Alpina di Aosta)
che impiega per elevare la “specializzazione” dei propri uomini con il fine di
esaltare le capacità operative e di sopravvivenza dei reparti che operano in
alta montagna.
La Brigata Alpina Taurinense è una
grande unità elementare dalle forti vocazioni internazionali, acquisite da
oltre 45 anni di appartenenza alla Forza Mobile del Comando Alleato in Europa:
è articolata su tre reggimenti alpini (il 2° Rgt. a
Cuneo, il 3° Rgt. a Pinerolo,
il 9° a L’Aquila), il Reggimento “Nizza Cavalleria”(1°), il 1° Reggimento
artiglieria terrestre, armato con mortai da 120 mm. e con obici FH-70 cal. 155/39,
il XXXII Reggimento genio guastatori. Alla fine del
mese di febbraio il 3° Reggimento Alpini è partito per l’Afghanistan, ad Herat, e ha dato il cambio al 7° Reggimento Alpini.
La Brigata negli ultimi anni ha operato con le altre forze della
NATO e dell’Unione Europea in Bosnia, in Albania, nel Kosovo
e in Afghanistan sia con il contingente ISAF sia nel
quadro dell’operazione “Enduring Freedom”
(Libertà Duratura) riscuotendo unanimi apprezzamenti.
La Brigata Alpina Julia, erede della
leggendaria Divisione Alpina Julia, con reparti
dislocati in Friuli, nel Cadore e nel Trentino-Alto Adige, è la unità
leader della forza multinazionale italo–sloveno–ungherese (MLF–Multinazional Land Force),
sotto il profilo operativo è una forza facilmente proiettabile, versatile, in
grado di operare in più contesti.
L’area geografica d’impiego della Brigata include preferibilmente
l’Europa centro-orientale e sud-orientale, in teatri operativi caratterizzati
da terreno accidentato, disagevole o con scarsa mobilità terrestre.
Essa è articolata su tre reggimenti alpini, il 5° a Vipiteno, il
7° a Feltre, l’8° a Cividale
e Venzone, il 3° reggimento di artiglieria da
montagna, con sede a Tolmezzo e il 2° reggimento
genio guastatori alpino, con sede a Trento.
La Julia è una grande unità alpina
capace di assolvere al meglio i numerosi compiti assegnateli sia in ambito
nazionale che internazionale.
La multinazionalità della MFL nell’ambito del comando è costituita con un reggimento
italiano, uno sloveno e uno ungherese.
Attualmente la Brigata è alimentata con personale di volontari in
ferma prefissata di anni uno (V.F.P.1) e di anni
quattro (V.F.P.4) e con volontari in servizio
permanente (V.S.P.).
Nel secondo semestre del 2007 il 5° Reggimento Alpini sarà
impiegato per conto della NATO in Afghanistan e darà il cambio al 3° Reggimento
Alpini.
Nel corso di questo anno il Comando Brigata Julia,
nella sua versione M.F.L. (Forza Multinazionale
Terrestre), l’8° Reggimento Alpini e reparti sloveni e ungheresi, saranno
valutati quali “European Battle
Group” e quindi dal secondo semestre di questo anno
disponibili per eventuali impieghi operativi decisi dall’Unione Europea.
Ritengo doveroso dare alcune notizie sulla Brigata Alpina
Tridentina di fatto disciolta il 1° luglio 2002. La Tridentina che custodiva il
ricordo e le tradizioni della gloriosa Divisione Alpina Tridentina, era
dislocata in Alto Adige. Possedeva una spiccata attitudine alpina che le
conferiva la possibilità di poter vivere e combattere in alta montagna e in
terreni di difficile percorribilità.
Flessibilità, bivalenza, autonomia tattico – logistica,
leggerezza, erano i fattori che davano alla Brigata una comprovata ed elevata
capacità operativa.
Era costituita da tre reggimenti alpini ( il 5° a Vipiteno, il 6°
a S. Candido e l’11° a Brunico), dal Battaglione
Alpini Edolo con sede a Merano e dal Battaglione
Logistico Tridentina di sede a Bressanone. Il Comando Brigata aveva la sua sede
a Bressanone nella caserma generale Luigi Reverberi,
medaglia d’oro al valore militare.
Per volontà dello stato maggiore dell’esercito il Comando Brigata
Tridentina è stato trasformato in “Comando Divisione Tridentina” in ricordo
della gloriosa Divisione Alpina Tridentina e oggi ha la sua sede a Bolzano.
Inoltre nell’area compresa fra Brunico -
San Candido - Corvara, il Comando 6° Reggimento
Alpini, gestisce una vasta area addestrativa che
viene utilizzata permanentemente per l’addestramento alpinistico
dei reparti alpini e di altre specialità dell’esercito italiano, della Nato e
di altre Nazioni amiche e alleate.
Con la sospensione totale della leva a favore di un esercito
interamente professionale e volontario, gli alpini, dopo 135 anni di
storia gloriosa, corrono il rischio di perdere la loro caratteristica
principale – ossia “l’alpinità” – che principalmente
nasce dalla coscrizione obbligatoria su base regionale (il che assicura un
fortissimo legame interpersonale e una preziosa intesa al volo) e dal
retroterra alpinistico maturato nelle consuetudini
quotidiane dei singoli componenti.
In quel ambiente spesso viene messo a dura prova la saldezza
fisica e morale del montanaro: la neve, l’asprezza delle forme, la distanza dai
centri abitati, la scarsità delle risorse, la fatica, moltiplicano le
difficoltà promuovendo la maturazione e la crescita fisica e morale del
montanaro.
Elementi molto difficili da ottenere da truppe formate su base
professionistica se non si insisterà a irrobustire lo spirito alpino.
Con l’abolizione del criterio di reclutamento regionale che, come
è noto, fu alla base della costituzione delle Truppe Alpine, si teme che in
futuro non sarà più possibile avere reparti con un alto contenuto spirituale,
coscientemente motivati e ricchi di quella antica cultura montanara che ha
felicemente concorso a dare l’impronta all’uomo “alpino”.
Non dobbiamo dimenticare che la leva, per oltre 140 anni, ha
svolto per il nostro Paese un importante ruolo di unificazione nazionale e di
progresso: ha educato milioni di giovani alla vita, ha insegnato loro a parlare
la stessa lingua, ad affrontare sacrifici e fatiche, a prendere atto che oltre
ai diritti ci sono anche i doveri da adempiere, a comprendere cosa vuol dire
disciplina, senso di responsabilità, rispetto verso il prossimo e amore di
Patria.
Enorme è stato il contributo dato dalle Forze Armate alla comunità
nazionale in termini di educazione morale, culturale, fisica e sanitaria.
Quei giovani di leva “non professionisti” hanno fatto l’Italia
Unita, hanno combattuto tutte le guerre da quella d’Indipendenza sino alla
Seconda Guerra Mondiale comportandosi sempre con coraggio e dignità. Moltissimi
caddero eroicamente fra le trincee per servire la Patria.
Per quanto riguarda il servizio di leva, esso è stato sospeso in
considerazione che in futuro potrà essere attivato per possibili esigenze di
mobilitazione.
Ricordo che i giovani volontari, arruolati nelle truppe alpine,
sono in prevalenza provenienti dalle regioni del centro Sud, dove da quanto mi
risulta, stanno facendo il loro dovere con molta serietà, impegno e coraggio.
Ritengo che l’Associazione Nazionale Alpini (che svolge un ruolo
insostituibile di collegamento fra il personale in servizio e quello in
congedo), nei prossimi anni, dovrà impegnarsi duramente per convincere i
giovani, liberi ormai dal servizio di leva, a prestare il servizio militare nei
reparti alpini come soldati “volontari in ferma prefissata ad un anno” (V.F.P.-1), oppure come “volontari in ferma prefissata a
quattro anni” (V.F.P.4) o come “volontari in servizio
permanente” (V.S.P.).
L’Associazione Nazionale Alpini oggi più che mai deve diventare
l’Alfiere di un movimento che ripristini e rinnovi nei cittadini i valori che
in essi si sono affievoliti: valori di eticità, di solidarietà, di onestà, di
rispetto verso la bandiera nazionale e verso le Istituzioni della Repubblica,
di recupero delle virtù civili, militari, culturali e religiose.
Sono certo, e sono sicuro di interpretare anche il Vostro
pensiero, che gli alpini del XXI secolo, formati alla
scuola del Dovere e del sacrificio ed educati all’amore per le montagne,
affronteranno il nuovo processo di cambiamento con il tradizionale senso di
responsabilità, disciplina e generosità, profondendo ogni energia spirituale e
morale per superare tutti gli ostacoli, sull’esempio di quanti hanno amato la
nostra Bandiera, onorando sempre e in ogni luogo la nostra Patria.
Il momento storico attuale è assai difficile, caratterizzato da
laceranti conflitti locali, da tensioni politiche, economiche e sociali di
vasta portata che mettono ogni giorno a repentaglio la pace e la libertà.
In questa epoca particolare, dove la società sembra aver perso i
Valori e i riferimenti essenziali della vita, dove i crocifissi vengono tolti
dalle aule scolastiche dimenticando che il cristianesimo è uno dei
pilastri fondanti della cultura europea, in un’epoca nella quale si disprezza
la vita, si contesta la famiglia tradizionale, dove l’inno di Mameli e la
nostra bandiera vengono spesso disprezzati e offesi, gli Alpini continuano ad
essere un modello di vita semplice ed onesto, instancabili nell’impegno di
salvaguardare e difendere i valori di civiltà che il nostro amato Tricolore
rappresenta.
In questo momento gli Alpini sono in missione in Bosnia, in Kosovo, in Afghanistan, in Libano, missioni considerate
molto complesse per la loro delicatezza e pericolosità, con il fine di dare
assistenza umanitaria, garantire la sicurezza e assicurare nelle città e nei
paesi la pace e la legalità. A loro va la mia solidarietà e il mio saluto
affettuoso.
Molti sono gli interventi umanitari degli alpini a favore della
popolazione afgana: fra i tanti ricordo il progetto “Da Bolzano a Kabul”
patrocinato dal Comando Truppe Alpine, dalla Provincia Autonoma di Bolzano e
dal Lions Club Internazional
di Bolzano, con la cooperazione del Ministero della Educazione e del Comune di
Kabul che prevede la costruzione di un fabbricato e la ristrutturazione di tre
edifici destinati a Istituto scolastico presso l’Istituto “Mohammad
Alam Faizad” nonché la
costruzione, con la cooperazione del Ministero della Sanità Afgano, di un
fabbricato da destinare a Reparto Emergenze presso l’Ospedale Malalai di Kabul, uno dei principali centri di formazione
per Ginecologia e Ostetricia della Provincia di Kabul. Le opere saranno
costruite con manodopera locale in un arco di tempo di cento giorni.
Siamo in quei paesi, provati da anni di sofferenze e privazioni,
non per conquistare ma per pacificare, per infondere fiducia e speranza, per
assicurare le basi essenziali della convivenza civile e per concorrere a
ricostruire le strutture civili dilaniate dalla guerra (costruzione di scuole,
ospedali, asili, pozzi per ricuperare acqua potabile una risorsa molto
preziosa, ecc…).
Prima di chiudere questa pagina dedicata al mondo alpino desidero
rivolgere il più grato e commosso pensiero ai nostri Caduti, ed a quanti in
ogni tempo e luogo, persero la vita operando nell’ambito delle forze armate in
guerra, contro il terrorismo e nelle numerose emergenze del tempo di pace.
Gen. B. (ris.) Tullio Vidulich